“Il Conte Professore” erede della sua storia, testimone del nostro tempo intervista al Conte Angerio Filangieri de Candida Gonzaga di Domenico Sodano
Da una attenta ricognizione dei toponimi della Napoli nobilissima, quello dei “Filangieri” è certamente uno dei più rappresentati. Da una strada a un palazzo, da un istituto a un museo. Di fatto il Conte Angerio di Candida Gonzaga, ultimo discendente di questa antica casata, configura un ramo tuttora fiorente nella città partenopea. Di origine Normanna, i Filangieri si stabilirono a Salerno nell’XI secolo proprio con Angerio che fu titolare di numerosi feudi nel Napoletano e in Sicilia. Ebbero diverse diramazioni: i Filangieri della Candida, i Filangieri de Candida Gonzaga e in Sicilia i principi di Mirto, i duchi del Pino, i principi di Cutò e i principi di S. Flavia. Nelle testimonianze della loro antica storia troviamo Riccardo che come maresciallo di Federico II guidò la quinta crociata in terra santa occupando Sidone, Tiro e Acri; un altro Riccardo, sempre nel XIII secolo, fu viceré di Sicilia per Manfredi. Da Aldoino invece trasse origine il ramo di Candida. Tra il XIV e il XV secolo ebbero la contea di Avellino e più tardi i feudi di Satriano e Arianiello. Ma, non è delle sue nobili origini che il Conte ama parlare bensì della sua pluriennale attività di ricercatore, esperto delle politiche economico-agrarie. Cospicuo il suo curriculum dal quale evidenziamo alcune delle sue molteplici attività: istruttore presso il centro di Specializzazione e Ricerche economico-agrarie di Portici; titolare della Cattedra di “Pianificazione Agricola e Organizzazione del Territorio” presso il Dipartimento di Economia e Politica Agraria; esperto per l’Italia nel gruppo di lavoro C.E.E. per l’attività “Situazione ed evoluzione strutturale e socio-economica nelle diverse regioni della Comunità.
Nel 1973 la sua attività di docente la porta ad essere nominato nella Commissione per i beni culturali e naturali presso l’Assessorato per la Pubblica Istruzione della Regione Campania…
“ E’ un’attività finita già da tempo. La commissione vedeva riunite intorno a un tavolo tutte le rappresentanze locali: istituzionali, della cultura, dell’arte, dell’ambiente, per cercare di avere un controllo su quanto avveniva sul territorio. Fu promossa dal Vicepresidente della Giunta regionale, ed era una specie di filtro attraverso il quale venivano esaminati gli aspetti negativi e collaterali di ogni singolo progetto. Nella sua forma migliore è durata diversi anni, poi, per sopragiunte volontà politiche non è stata più convocata.”
Qual è stato l’ultimo parere di questa commissione?
“ Che i piani regolatori dei Comuni costieri della Campania dovessero passare per questo organismo prima dell’approvazione.”
Personalmente lei ha anche enunciato un’analisi del comparto…
“ Si ! Sono partito dalla constatazione che è ormai inutile seguitare a fare leva sulle grandi risorse tradizionali del bacino napoletano mentre c’è un vasto ed articolato patrimonio diffuso nelle altre parti della regione che attende di esser coinvolto in una diversa dinamica del settore. Auspicavo dunque la creazione di poli o attrezzature per una espansione di un turismo ulteriore rispetto a quello tradizionale.”
Qual è dunque la sua preoccupazione?
“ Guardi, la Campania, anche in rapporto alle altre regioni, ha una capacità non espressa di potenziale turistico. Il pericolo consiste nel fatto che una disattenta pianificazione territoriale possa risolversi nella appropriazione degli utili da parte di multinazionali esterne.”
Una sua proposta dunque?
“Influire indirettamente su chi desidera venire ad investire in Campania. Sarebbe opportuna una legge regionale che privilegiasse le piccole attività ricettive e che realizzasse poli di raggruppamento delle attività del terziario.”
Lei però nel 2000 ha anche elaborato una proposta di legge regionale che riguardava la tutela e la riqualificazione di centri abitati di interesse storico-artistico e di particolare pregio ambientale?
“ Una proposta che è oggi una legge regionale approvata con dei regolamenti poco convincenti. Fu presentata dall’Associazione Dimore Storiche, di cui faccio parte, ed elaborata insieme a Giulio Pane e all’architetto Loris Rossi che intendeva eliminare i detrattori edilzi che si fossero localizzati all’interno dei centri antichi. L’intento era quello di salvare quelle poche decine di centri demaniali con particolari caratteristiche topografiche e ambientali attraverso la creazione di infrastrutture che ne migliorassero la vivibilità e che contribuissero ad un opportuno ammodernamento.”
Quanto ha influito la politica nella sua attività?
“L’attività di cui mi occupo è molto politicizzata. Lo è dappertutto, lo è particolarmente in Campania. Attualmente i miei rapporti con la politica sono inesistenti. Oggi il politico preferisce agire autonomamente, senza il supporto di assistenze esterne.”
Una sua opinione riguardo la realizzazione di opere architettoniche in centri con particolari vincoli ambientali?
“Sicuramente lei si riferisce agli ultimi avvenimenti di Ravello. E’ ormai una tendenza diffusa! Sono opere parassite di un patrimonio artistico che non va alterato, come non si va ad alterare un quadro o una pergamena antica:”
Vale anche per il ripristino di beni architettonici, paesaggistici e naturali?
Dipende. Nel caso della Baia di Ieranto acquisita e rimaneggiata dal FAI certamente si! Ci siamo, in quel caso, scontrati con il FAI ritenendoci contrari a quell’intervento che ha portato ad un inutile riattamento di fabbriche senza alcun valore architettonico.”
Dei suoi lavori non pubblicati quale le sta particolarmente a cuore?
“Direi l’ultimo al quale mi sono dedicato negli ultimi venticinque anni: un inventario del patrimonio storico-artistico con schede, materiali cartografici, fotografici, bibliografici ed altra documentazione che potesse servire come guida alla pianificazione del territorio ai fini di protezione, di tutela, di sviluppo turistico ed altro.”